
L'accordo tra Stati Uniti e Unione Europea per l'introduzione di dazi reciproci al 15% a partire dal 1° agosto 2025, con tariffe al 50% su acciaio e alluminio, rappresenta un compromesso rispetto alla minaccia iniziale di dazi al 30% avanzata dall’amministrazione Trump.
Sebbene questo accordo eviti uno scontro commerciale più grave, comporta comunque impatti significativi per l’economia europea e, in particolare, per l’Italia, che risulta tra i paesi più penalizzati a causa della sua forte esposizione al mercato statunitense.
Commento sulla notizia
L’intesa, raggiunta dopo negoziati serrati tra la Commissione Europea e gli Stati Uniti, è stata definita un "risultato positivo" dalla presidente Ursula von der Leyen, mentre il governo italiano (Meloni, Tajani e Salvini) ha sottolineato l’importanza di aver evitato uno scontro frontale, preservando l’unità transatlantica.
Tuttavia, il compromesso non elimina le preoccupazioni delle imprese italiane: i dazi al 15%, combinati con la svalutazione del dollaro (–13% dall’inizio del secondo mandato di Trump), aumentano i costi delle esportazioni italiane verso gli USA, rendendo i prodotti meno competitivi.
L’Italia, con un export verso gli Stati Uniti pari a circa 65-67 miliardi di euro nel 2024, rischia una riduzione significativa delle vendite, stimata da Confindustria in circa 38 miliardi di euro in caso di dazi permanenti al 30%, con un impatto proporzionalmente minore ma comunque rilevante con i dazi al 15%.
Le imprese italiane, già provate da incertezze geopolitiche e da un’economia manifatturiera in rallentamento (–5% della produzione industriale rispetto al pre-pandemia), devono affrontare una doppia sfida:
- l’aumento dei costi derivanti dai dazi;
- la perdita di competitività dovuta al cambio euro-dollaro.
Tuttavia, la qualità del Made in Italy e la capacità di alcune aziende di diversificare i mercati (Asia, America Latina, India, Messico) offrono opportunità di mitigazione, anche se non immediate.
La strategia europea di risposta include:
- contromisure da 93 miliardi di euro (attivate dal 7 agosto in caso di mancato accordo);
- accordi commerciali alternativi (es. Mercosur, Messico, India).
Ma l’incertezza permane.
Scenario economico
Impatto macroeconomico
Secondo stime del Centro Studi di Unimpresa, i dazi al 15% potrebbero generare un impatto economico di circa 10 miliardi di euro per le aziende italiane, con:
- una flessione dello 0,5% sul fatturato delle imprese esportatrici;
- una riduzione dei margini operativi dello 0,3% per il 75% delle aziende coinvolte.
Svimez prevede una perdita di circa 0,25% del PIL italiano, con ricadute su circa 100.000 posti di lavoro.
L’effetto combinato dei dazi e della svalutazione del dollaro (un "dazio implicito" del 21%) potrebbe ridurre la competitività delle esportazioni italiane del 4% nella produzione manifatturiera.
Strategie di risposta
Le aziende italiane stanno adottando misure per mitigare l’impatto:
- Diversificazione dei mercati: il 54% delle imprese italiane, secondo EY, sta esplorando mercati alternativi come Asia e America Latina.
- Localizzazione della produzione: alcune aziende valutano di aprire impianti negli Stati Uniti o creare joint venture per bypassare i dazi, anche se ciò è complesso nel breve termine.
- Trasferimento dei costi: le imprese devono decidere se assorbire i dazi (riducendo i margini) o aumentare i prezzi finali, rischiando di perdere quote di mercato.
Rischi a lungo termine
Se i dazi diventassero permanenti, l’impatto nel medio-lungo periodo sarebbe molto severo, con una possibile contrazione dell’export italiano verso gli USA del 58% (38 miliardi di euro).
Inoltre, l’incertezza commerciale potrebbe spingere le imprese a posticipare gli investimenti (il 58% delle aziende italiane lo ha già fatto nel 2025), rallentando ulteriormente la crescita.
Settori e aziende italiane più colpite
L’Italia è particolarmente vulnerabile perché le sue esportazioni verso gli USA (circa 3% del PIL) sono concentrate in settori chiave del Made in Italy, che rappresentano oltre il 90% dell’export italiano verso gli Stati Uniti.
Agroalimentare
(12% dell’export, 8 miliardi di euro)
- Impatto: i dazi al 15% potrebbero costare 1,2 miliardi di euro al settore (Unimpresa).
- Prodotti colpiti: vino (500 milioni), olio d’oliva (240 milioni), pasta (170 milioni), formaggi DOP come Grana Padano (120 milioni).
- Conseguenze: perdita di quote di mercato, rischio di proliferazione di prodotti “taroccati” (industria del falso da 40 miliardi). Le piccole cantine e produttori artigianali sono i più vulnerabili.
Moda e beni di lusso
(17% dell’export, 11 miliardi di euro)
- Impatto: rischio di 1,65 miliardi di euro di perdite nel settore moda, abbigliamento e pelletteria.
- Conseguenze: i grandi marchi (Gucci, Prada) possono resistere, ma le PMI meno diversificate rischiano di perdere competitività.
Meccanica e macchinari industriali
(30% dell’export, circa 20 miliardi di euro)
- Impatto: costi aggiuntivi di circa 3 miliardi di euro.
- Conseguenze: le PMI meccaniche saranno più colpite rispetto ai grandi gruppi (Leonardo, Iveco). Impatti indiretti anche dalle filiere tedesche integrate.
Automotive e trasporti
(11% dell’export, 7 miliardi di euro)
- Impatto: oltre 1 miliardo di euro di danni potenziali. Il settore è già colpito da un dazio del 25% sulle auto (da aprile 2025).
- Conseguenze: aziende come Stellantis e i fornitori di componenti rischiano contrazioni. Le PMI della filiera automotive sono le più vulnerabil
Farmaceutica
(24% del valore aggiunto legato agli USA)
Impatto: Esclusa dall'accordo sui dazi al 15%, la farmaceutica italiana per ora non subirà tariffe aggiuntive. Tuttavia, è esposta agli effetti indiretti della svalutazione del dollaro, che rende meno convenienti i prodotti esportati.
Conseguenze: Il settore, fortemente legato alla ricerca e allo sviluppo e con filiere globali, potrebbe decidere di aumentare gli investimenti in stabilimenti localizzati negli USA per mantenere la competitività. Aziende come Menarini, Chiesi e Recordati monitorano con attenzione l’evoluzione normativa e valutaria.
L'accordo tra Stati Uniti e Unione Europea sui dazi rappresenta un compromesso che evita un'escalation commerciale ma che lascia irrisolte molte criticità, soprattutto per un paese come l'Italia, fortemente legato all’export verso gli USA. Se da un lato l’intesa riduce i dazi prospettati al 30% fino al 15%, dall’altro, la svalutazione del dollaro agisce da ulteriore freno alla competitività delle esportazioni italiane. I settori del Made in Italy – agroalimentare, moda, meccanica, automotive e farmaceutica – si trovano ad affrontare un quadro complesso, dove l’elemento geopolitico e quello economico-finanziario si intrecciano.
La risposta delle imprese italiane si gioca su tre direttrici: diversificazione dei mercati, adattamento produttivo(compresa la rilocalizzazione) e strategia di prezzo. Tuttavia, la capacità di reagire varia in base alla dimensione e alla struttura aziendale: le PMI, cuore pulsante del tessuto produttivo italiano, risultano le più esposte.
Sul piano politico, l’Unione Europea è chiamata a rafforzare gli strumenti di difesa commerciale e di cooperazione bilaterale, promuovendo nuovi accordi con aree di crescita come il Sud America e l’Asia. L’Italia, da parte sua, dovrà puntare su un’azione diplomatica incisiva e su politiche industriali che supportino la transizione competitiva delle imprese colpite.
Infine, resta una grande incognita: la durata del compromesso. L’accordo è temporaneo e potrebbe essere rinegoziato nel 2026, in base agli sviluppi politici negli USA e all'equilibrio interno della UE. Per questo motivo, è fondamentale che le imprese non si limitino ad affrontare l’emergenza, ma pianifichino strategie strutturali di lungo termine, all’interno di un contesto economico globale sempre più instabile, ma anche ricco di opportunità.
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