«Il Mediterraneo è sempre stato un crocevia di culture» scriveva Fernand Braudel, ricordandoci che la nostra identità non nasce dall’accumulo di pietre, ma dalla mescolanza di traiettorie, venti, lingue, saperi. E se esiste un luogo che rende palpabile questa mescolanza, è lo Stretto di Messina: lama d’acqua che separa e congiunge al tempo stesso, laboratorio geopoetico di resilienza e contaminazione.
Proprio da questo territorio – intriso di memoria e urgenze – proviene la voce autorevole dell’Architetto Anna Carulli, Presidente nazionale dell’Istituto Nazionale di Bioarchitettura (INBAR), Presidente della Fondazione Architetti nel Mediterraneo Messina e della Commissione VINCA del Comune di Messina.
In occasione di ThinkinGreen 2025, l’evento dedicato all’economia sostenibile che da Messina e Taormina guarda al futuro euromediterraneo, Carulli propone un paradigma nuovo: quello della “decarbonizzazione identitaria”, che fonde alta tecnologia, filiere locali e giustizia climatica.
Il paesaggio come lezione continua
«Lo Stretto è una lezione ininterrotta di complessità: due placche che si sfiorano, due mari che si abbracciano, venti che si ricompongono in un’unica corrente», racconta Carulli. «In un luogo così, la nozione di confine evapora. L’architettura non può più occupare lo spazio, ma deve orchestrare forze – geologiche, ecologiche, storiche – e farle vibrare in equilibrio dinamico».
La visione mediterranea che guida il suo lavoro si traduce in una pratica concreta, fondata sull’intelligenza adattiva dei materiali, sulla progettazione bioclimatica e sulla valorizzazione della memoria stratificata dei luoghi.
“ThinkinGreen 2025”: Messina come manifesto
Per Carulli, Messina non è solo scenografia dell’evento, ma campo di prova. «Proporrò un paradigma in tre atti», anticipa. «Primo: ridurre le emissioni utilizzando materiali locali come basalto, cocciopesto, fibre naturali. Secondo: fare della comunità energetica un’infrastruttura culturale. Terzo: valutare i benefici anche in termini di biodiversità, salute pubblica e reddito diffuso, non solo in kilowatt-ora».
Con urbanisti come Massimo Pica Ciamarra, si parlerà di città metaboliche e reciprocità territoriale, in un dialogo che – fra i monti Peloritani e il mare – assume una forza quasi fisiologica.
Algoritmo del paesaggio: identità e performance
«La Convenzione Europea del Paesaggio ci ricorda che il territorio è parte dell’identità dei popoli», spiega Carulli. «Io lo traduco in metodo: due quaderni. In uno, le biografie del luogo: culti, dialetti, tecniche, specie autoctone. Nell’altro, il metabolismo: bilanci di CO₂, flussi idrici, energia. Progetto solo dove queste mappe si sovrappongono».
È così che un ex magazzino agrumario diventa oggi polo per l’agricoltura carbon-positive, con tetti fotovoltaici e micro-fabbriche per oli essenziali, chiudendo il cerchio fra passato contadino e futuro sostenibile.
Contro il consumo di suolo: rigenerare, non costruire
Il consumo di suolo in Italia supera ancora i 2 m² al secondo. Per Carulli, la vera risposta è la rigenerazione dell’esistente. Il progetto dello scalo ferroviario di Reggio Calabria – in sinergia con INBAR Stretto – ha permesso di risparmiare centinaia di tonnellate di CO₂, restituendo suolo permeabile e memoria industriale alla città. «Ogni trave riutilizzata è un debito non contratto; ogni metro di asfalto rimosso, un polmone riattivato», sottolinea.
Ruralizzare la città: l’ecosistema urbano del futuro
«Non basta piantare qualche albero. Ruralizzare significa reintrodurre in città funzioni agricole, idrologiche, bioclimatiche complete». Nel progetto del Parco delle Torri a Ganzirri, le dune costiere filtrano lo scirocco, i canali di fitodepurazione nutrono orti collettivi, i sensori open-data monitorano i microclimi. «La città non è da decorare, ma da rendere organismo vivo», afferma l’architetto.
Alta tecnologia e radici locali: il caso dei nanotubi di carbonio
«Non c’è contraddizione fra bioarchitettura e nanotubi di carbonio, se il criterio è l’etica», dice con decisione. «Usati in piccole dosi, i CNT riducono drasticamente peso e impatto ambientale. Ma il materiale va sempre innestato in matrice vernacolare: in Sicilia usiamo calce idraulica, silice vulcanica e canapulo». Il risultato? Un intonaco leggerissimo che cattura inquinanti, si ricicla come compost agricolo e rispetta il genius loci.
Bioarchitettura e capitale sociale
Il nuovo “Bio-Score” di INBAR include anche indicatori sociali. «Abbiamo introdotto la Community Capital Matrix», spiega. «Valutiamo ore di volontariato, lavoro artigianale, coinvolgimento locale. Perché sostenibilità significa ampliare le libertà umane, come insegna Amartya Sen». Un edificio certificato INBAR, quindi, non è solo efficiente: è anche catalizzatore di coesione, saperi e resilienza culturale.
Verso nuovi modelli post-turistici
Infine, molti piccoli comuni cercano un’alternativa al turismo di massa. La risposta? I Piani di Paesaggio Energetico Locale, sviluppati da INBAR secondo un metodo triassiale: mappatura ecosistemica, laboratori partecipativi e pacchetti per micro-reti rinnovabili. Dall’Etna ai Nebrodi, prende forma una visione post-carbonio e comunitaria dell’abitare.
L’intervento dell’Architetto Anna Carulli a ThinkinGreen 2025 ci ricorda che non esiste transizione ecologica senza una transizione culturale. Che non si può ridurre la CO₂ senza rigenerare il senso dei luoghi. E che, come affermava Jane Jacobs, «le città possono offrire qualcosa a tutti solo quando sono create da tutti». Il Mediterraneo – con la sua luce riflessa e i suoi racconti intrecciati – ci chiama ancora una volta a progettare con e per le comunità.
Leggi l'intervista dell'Arch. Piero Luigi Carcerano all'Arch. Anna Carulli
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