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sabato 16 agosto 2025

La supremazia del progetto-episteme rispetto alle strutture politiche, sociali e tecnologiche

 


L’articolo su Portale Universitario di Giulio Portolan,  analista e scienziato politico,  dal titolo "Il progetto-episteme come sistema superiore rispetto a poteri politici, sociali e tecnologici", propone una riflessione di ampio respiro teorico attraverso la presentazione del progetto-episteme, incentrato sull’idea che la sopravvivenza della specie umana non sia primariamente condizionata da fattori politici, economici o tecnologici, bensì da un processo di natura biologico-epidemiologica.

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Elemento cardine della trattazione è il concetto di “fattore-P”, inteso quale indicatore di convergenza delle diverse patologie – genetiche, neurologiche, psichiche e infettive – che, secondo l’autore, configurerebbero una traiettoria unitaria destinata a condurre progressivamente all’estinzione del genere umano. A sostegno di tale tesi, vengono presentati dati epidemiologici relativi a un ampio spettro di malattie, interpretati come segnali convergenti di un fenomeno globale e irreversibile.

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Un punto di rilievo della prospettiva esposta risiede nella critica ai cosiddetti “poteri forti” (politici, economici, militari, tecnologici e culturali), che l’autore considera marginali rispetto alla pressione esercitata dall’insieme delle patologie. In tal modo, il progetto-episteme si colloca in una posizione di rottura rispetto alle narrazioni dominanti, ridefinendo la gerarchia dei fattori di rischio che incidono sulla sopravvivenza della specie.

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Sul versante propositivo, Portolan individua tre condizioni necessarie alla continuità biologica dell’umanità: memoria globale, castità globale e ginnastica globale. Tali pratiche, concepite come strumenti di rafforzamento del “campo biologico-spirituale”, vengono presentate come alternative capaci di incidere sull’evoluzione etico-naturale della specie e di ridurre il peso dei poteri sistemici sopra elencati.

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L’articolo, pur non configurandosi come ricerca empirica in senso stretto, si propone come contributo teorico ed epistemologico. La sua forza risiede nella capacità di spostare l’attenzione da dinamiche storicamente considerate centrali (potere politico, conflitti economici, sviluppo tecnologico) a un piano biologico-epidemiologico che viene interpretato come determinante e ineludibile. Tuttavia, la formulazione del concetto di “convergenza patologica” solleva interrogativi critici circa la sua validità scientifica, risultando più vicina a una costruzione teorico-metaforica che a un modello verificabile secondo criteri di rigore empirico.

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L’articolo rappresenta un tentativo originale di elaborazione teorica, collocandosi al crocevia tra scienza, filosofia e bioetica. Pur con i suoi tratti utopici e con la necessità di ulteriori approfondimenti metodologici, esso contribuisce a stimolare un dibattito interdisciplinare sul rapporto tra fragilità biologica, dinamiche epidemiologiche e futuro dell’umanità.


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