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venerdì 9 maggio 2025

Un Papa americano. Ma non quello che sognavano



All’indomani dell’elezione di Papa Leone XIV, nato Robert Francis Prevost, gli Stati Uniti conservatori avevano esultato. “Finalmente un Papa americano!” tuonavano i cori da Fox News alle radio evangeliche. Donald Trump si era affrettato a congratularsi. JD Vance, senatore dell’Ohio e teorico dell’“America First” spirituale, sorrideva soddisfatto. Per un attimo, sembrava che la destra cristiana americana avesse trovato nel Vaticano il suo nuovo alleato globale. Ma bastarono poche ore perché quel sogno si trasformasse in panico.

A infrangere l’euforia ci ha pensato lo stesso Leone XIV. O meglio, il suo passato digitale: l’account X (ex Twitter) di Robert Francis Prevost. Post dopo post, emergeva il ritratto di un uomo profondamente fedele alla dottrina, ma non alle derive ideologiche del trumpismo. Le sue parole – tutte documentate, pubbliche – prendevano posizione netta: contro le deportazioni volute da Trump, a favore della giustizia per George Floyd, in difesa dei migranti, del clima, dei poveri. E soprattutto quella frase, diventata subito virale: “Gesù non ci chiede di fare una gerarchia dell’amore.”

Un colpo diretto alle teorie di JD Vance, che aveva dichiarato che l’amore cristiano andava riservato prima ai connazionali, e solo dopo – forse – agli altri. Una visione etnocentrica della carità, smentita con poche, limpide parole dal nuovo Papa. Non servivano analisi teologiche: bastava leggere.

La reazione è stata brutale. Laura Loomer, nota per le sue tesi complottiste e vicina all’alt-right, ha bollato Leone XIV come “un burattino marxista”. Steve Bannon, guru del populismo trumpiano, ha parlato di “una catastrofe per i cattolici MAGA, un voto contro Trump mascherato da Spirito Santo”. Il tono si è fatto subito aggressivo, quasi isterico. Come se l’elezione papale fosse un’elezione politica fallita per il fronte sovranista.

Eppure, nessuno può dire che Papa Leone XIV sia un progressista tout court. I suoi orientamenti su temi come l’aborto o i diritti LGBTQ+ restano saldamente conservatori. Ha perfino votato alle primarie repubblicane. Ma non è un uomo al servizio della destra suprematista americana. Non è un Papa che si farà usare come mascotte da chi intende ridurre il messaggio evangelico a un’arma identitaria.

In un’epoca in cui il potere si compra e la fede si brandisce come clava, l’elezione di Leone XIV ci ricorda che esiste ancora una distinzione tra convinzione e strumentalizzazione. Non è il Papa della sinistra, ma nemmeno quello della destra. È, prima di tutto, il pastore universale di una Chiesa che — pur con tutte le sue contraddizioni — cerca di parlare all’intera umanità, non solo a una parte.

Il fatto che sia americano ha generato illusioni. Ma il suo essere americano non ha significato ciò che molti credevano: obbedienza ideologica, complicità culturale, allineamento politico. È, semmai, una sfida. Una dimostrazione che si può venire dagli Stati Uniti senza essere il prodotto del loro tribalismo. Che si può appartenere a una nazione, senza servire i suoi interessi.

Papa Leone XIV è, sì, un Papa americano. Ma è proprio questo a renderlo pericoloso per chi pensava di aver trovato un alleato. È il contrario di quello che sognavano.


C.P. 

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